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La diagnosi prenatale

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La DP non è esclusivamente una procedura ostetrico-ginecologica che permette di indagare con maggiore specificità lo stato di benessere del feto ma è anche una scelta che impone ai futuri genitori di prendere una precisa posizione etico-morale rispetto ad un possibile esito positivo del risultato.
Le tecniche di DP sono fondamentalmente di due tipi: una per immagini (non invasiva) e l’altra (invasiva) con prelievo di “materiale embrio –fetale (con ciò si intende il sangue fetale del cordone ombelicale e il liquido della cavità amniotica)”. Entrambe le metodiche, permettono per la prima volta ai futuri genitori di entrare in contatto con il proprio bambino  sia attraverso le immagini nel caso dell’ecografia sia attraverso la visione del consistente  “materiale embrio-fetale”.

Ma quando una coppia si approccia al una diagnostica prenatale è realmente consapevole e cosciente della scelta che sta affrontando? Si tratta di uno dei diversi esami che nel grande panorama della maternità medicalizzata offrono sicurezza e tranquillità alla futura coppia di avanzare in una gravidanza certa, priva di rischi o vengono  valutate in modo consapevole e responsabile le implicazioni che questa scelta diagnostica inevitabilmente impone? Domande che si posizionano oltre la sfera puramente medica,tecnica e scientifica e che toccano il vissuto genitoriale nel profondo.
Fortunatamente nella maggior parte dei casi l’ansia generata dal test diagnostico scompare di fronte all’esito rassicurante dell’esame cromosomico mentre dinanzi ad una malformazione fetale, i genitori sono oggi impegnati a decidere tra l’interruzione della gravidanza o la sua continuazione. Dolorosa scelta che inevitabilmente propone il senso che per ognuno ha la vita, la morte, la liberta ed il diritto a decidere. Non esiste una risposta univoca, condivisibile da tutti. Una risposta capace di conciliare qualsiasi scelta si decida di affrontare con i sentimenti di colpa, di inadeguatezza e di vergogna nell’interruzione per malformazione in gravidanza o i sentimenti di paura, di ansia e di precarietà nel procedere in una gravidanza con questi esiti.
Quando una coppia riceve una diagnosi di feto-bambino malformato è investita da una condizione emotiva di smarrimento, confusione incredulità ma anche di rabbia, di inquietudine, vittima di un destino avverso che “ha scelto proprio me”.
Un esito positivo di DP blocca  e frattura quel processo di elaborazione alla maternità che ogni donna, con i propri tempi vive durante la gravidanza. Tutto rimane sospeso, fermo, immobile nell’attesa di una decisione. Il bambino fantasmatico che stava strutturando la propria identità nel grembo materno si cristallizza, e si impone in una veste nuova dove malformazioni interne (di organi) ed estetiche sono i segni o i sintomi della diagnosi. Ed allora la donna, i genitori devono fare i conti con i propri costrutti interni, quelli che si sono costruiti nel tempo, nel corso della loro vita e delle loro esperienze, rispetto al valore di un corpo sano, senza imperfezioni fisiche o mentali, rispetto alla possibilità di pensarsi in un legame costruito sulla dipendenza o sulla caducità della vita.

Qualunque sia la condizione malformativa, l’oggettività di essere figlio nessuno può cancellarlo né tanto meno la scelta abortiva. Esistono molti rischi di lutto complicato, da pesanti conseguenze psicologiche.

Per questo tipo di perdita perinatale, la risoluzione del lutto è complicata da una perdita della stima biologica di se stessi. Infatti, aver generato un bambino malformato è sempre vista come un fallimento nella procreazione. La vergogna, il sentimento di aver fallito che ne derivano alimentano spesso sentimenti di disistima e depressivi.

Si pone in discussione anche il proprio senso morale come genitore durante la decisione sulla preservazione o soppressione della vita.

Con l’aborto la madre percepisce il proprio utero come una sorta di bara: ciò che doveva contenere una vita, nutrire e proteggere si trasforma in un involucro di morte trattenendo in se dolore e sofferenza.  Cosi la donna si trova a  confrontarsi con una violenta ambivalenza tra la vita e la morte, non solo quella del suo feto, ma anche la propria. Dar luce ad un bambino vivo anche se per poche ore, può determinare una differenza importante per il vissuto di una madre: il fatto di “nascere vivo” è una rassicurazione cruciale del desiderio materno.

Valenze psicodinamiche più forti possono derivare dal fatto che potrà nascere qualcuno considerato “mostruoso” ma che per queste coppie è semplicemente il “frutto del loro concepimemento”. Possono emerge allora sentimenti di rifiuto e di repulsione che trovano una loro comprensione all’interno di un contesto emotivo così sollecitato e confuso.

Nei genitori,è presente pure una perdita della stima sociale di se stessi. Infatti, molte coppie si ritrovano socialmente isolate sia che esse decidano di portare avanti la gravidanza e far nascere comunque il loro bambino anche se “terminale” (feto la cui esistenza è incompatibile con la vita), sia che scelgano per l’aborto. Questo isolamento è accentuato dal fatto che il lutto è complicato da problemi di ereditarietà, anormalità e aborto.

L’evitamento, la fuga da situazioni che possono mettere in discussione, provocare paure profonde, sollecitare fantasmi interni con i quali non si vuole entrare in contatto e fare i conti portano sovente il tessuto sociale ad allontanarsi da queste coppie in difficoltà. Si sa che superare il lutto diventa più difficile se l’avvenimento e le sue conseguenze non sono condivisi con chi sta vicino alla coppia.

La nascita di un bambino nato morto o che muore subito dopo la nascita può essere percepito dalla coppia genitoriale come un non avvenimento:un bimbo che non nasce vivo è un bimbo mai nato. La maternità interrotta bruscamente, la genitorialità non compiuta possono portare a difese di rimozione dell’evento e di quel processo di lutto che inevitabilmente avverrà con l’esperienza di perdita e di separazione.

In questo contesto è importante valutare la possibilità di poter identificare e strutturare il lutto attraverso il rito del funerale e della sepolturacome tangibile riconoscimento di perdita, come esperienza sociale di condivisione e soprattutto come elemento funzionale alla costruzione di una “corrispondenza di amorosi sensi” con il proprio bambino.