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Conseguenze psicologiche della morte endouterina.

Il riconoscimento di un impatto e coinvolgimento dell’assetto emotivo rispetto ad una morte endouterina è stato riconosciuto dalla letteratura medica solo negli ultimi venticinquenni quando si è gradualmente introdotta la consapevolezza dell’interazione esistente gia in gravidanza, tra feto e madre.

Si parla di morte endouterina quando il feto ha raggiunto o superato la 20esima settimana di gestazione. In questi casi non vi sono segni o sintomi premonitori: la certezza dell’esito è determinata dall’assenza del battito e dei movimenti fetali.

La morte endouterina si pone come brusca interruzione di un processo mentale oltre che fisico di cambiamento che la donna sperimenta nel percorso della gravidanza.
Due processi psichici interessano la donna durante la gestazione: lamaturazione e la regressione.
Attraverso il processo di maturazione la donna si pone in una dinamica di cambiamento: da figlia e moglie, a madre del proprio figlio con una propria identità di famiglia. Attraverso il processo di regressione la donna gravida torna ad esperienze infantili per promuovere quel processo di identificazione con il feto che gradualmente le permetterà di ottenere un’immagine fantasmatica ed immaginaria del proprio bambino ideale.

La brusca interruzione di questi processi può causare un disturbo che, in rapporto all’età gestazionale in cui si presenta determina diverse gravità. Più tardiva sarà la morte endouterina maggiore la sofferenza psichica in quanto i processi di identificazione, accettazione, proiezione ed identità verso la gravidanza ed il bambino sono ormai strutturati.

Nel primo anno successivo ad una perdita perinatale, circa il 20-30% delle donne incorre in patologie psichiatriche significative come la depressione o i disturbi d’ansia.
Ogni donna che soffre per una morte endouterina dovrebbe essere considerata in un approccio di cura, nella sua dimensione psichica oltre che fisica.
Un intervento psicologico capace di identificare i movimenti interni che si spostano durante il lutto e di portare un valido supporto in questo periodo di perdita e di separazione può essere una strategia terapeutica importante. Nei casi di lutto complicato dove emerge una sintomatologia psicopatologica impegnativa caratterizzata da abulia, apatia, anedonia con sentimenti di autosvalutazione e di vuoto e disturbi della sfera neurovegetativa (sonno–appetito) è bene considerare anche la possibilità di un aiuto farmacologico come una terapia antidepressiva.

Una maggiore attenzione deve essere investita sulla figura del padre. Anche i padri possono aver maturato un intenso attaccamento verso il bambino. Verosimilmente i padri sembrano mostrare una maggiore rapidità a superare il dolore avviandosi più rapidamente alla risoluzione del lutto. Avere tempi interni diversi in questo percorso di elaborazione può essere avvertito dalla coppia come un elemento confusivo che non aiuta a recuperare l’equilibrio pregresso. In realtà non è possibile attendere che i due membri della coppia si muovano in modo sincronizzato ed armonico perché entrambi cresciuti con vissuti ed esperienze diverse.

Le madri ed i padri sembrano soffrire non solo con tempi diversi ma anche in modi diversi: le prime per il bambino, i secondi più per le mogli. Tuttavia il fatto di soffrire in modo diverso non implica il fatto che anche i padri possano avere la necessità di sentirsi supportati e coinvolti nel processo di elaborazione del lutto. Rientrare rapidamente al lavoro quotidiano, evitare di raccontarsi e di mostrare i propri sentimenti perché bisogna mostrarsi forti, osservare che il contesto esterno è proteso verso la propria compagna e poco attento a riconoscere il tuo dolore, porta il padre a trattenere il proprio trauma interiore con il quale è invece bene che si riconcili.
Pertanto è importante che la coppia lavori insieme, in un contesto di complicità nella sofferenza, cercando di trovare un nuovo equilibrio dove questa impegnativa esperienza di morte possa diventare elemento vitale e propulsivo per entrambi.